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Il Minollo

Il minollo è un animale immaginario "inventato" da Massimo Troisi in un famoso sketch de La Smorfia (dal titolo: L'Arca di Noè) allo scopo di convincere Lello Arena (che nella scena impersonificava, appunto un Noè "leggermente" miope) a lasciarlo entrare nell'Arca per salvarsi dal diluvio universale.

Sempre in tale rappresentazione, Massimo Troisi, tenta anche un improbabile travestimento da "minollo", sempre allo scopo di poter entrare nell'Arca. Ovviamente, non è ben chiaro come sia fatto un minollo; certamente è bipede (come d'altronde Massimo Troisi), ha un lungo naso (che peraltro non si vede mai) e due grosse orecchie, "casualmente" somiglianti a un foglio di un quotidiano accartocciato.

Successivamente il termine si è diffuso in gran parte del meridione d'Italia come appellativo scherzoso e "canzonatorio" entrato anche in molti modi di dire e proverbi (ad esempio: andare a caccia di minolli = perder tempo, fare i minolli = fare un buco nell'acqua, ecc...).

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giovedì 7 febbraio 2008

Biografie TOTO'

Totò

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Collabora a Wikiquote « Sono ormai all'età in cui si tirano le somme, e io non ho fatto ancora nulla, sarei potuto diventare un grande attore, e invece su 100 e più film che ho girato, ne sono degni non più di cinque, ma anche fossi diventato un grande attore cosa sarebbe cambiato? Noi attori siamo solo venditori di chiacchiere, un falegname vale certo più di noi, almeno il tavolino che fabbrica, resta nel tempo, dopo di lui, noi attori, anche se abbiamo successo, duriamo al massimo una generazione. »

(Totò, in un'intervista)
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(Totò, dal film Signori si nasce (1960))

Totò

Totò - nome d'arte di Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis Di Bisanzio Gagliardi, più noto come Antonio De Curtis (Napoli, 15 febbraio 1898Roma, 15 aprile 1967) è stato un attore, compositore e poeta italiano. Soprannominato "il principe della risata", è considerato uno dei più grandi interpreti nella storia del teatro e del cinema italiano.

Nato come Antonio Vincenzo Stefano Clemente ed adottato nel 1933 dal marchese Francesco Maria Gagliardi Focas - il padre naturale, il marchese Giuseppe De Curtis, lo riconobbe legalmente soltanto nel 1937 - nel 1945 il tribunale di Napoli gli permise di aggiungere vari cognomi e predicati nobiliari, riconoscendogli «il diritto di potersi attribuire il nome della casata ed i titoli». Sicché Totò divenne[1] Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis Di Bisanzio Gagliardi, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del Sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e Illiria, principe di Costantinopoli, di Cilicia, di Tessaglia, di Ponto, di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e d'Epiro, conte e duca di Drivasto e di Durazzo,[2] anche se sul pronao della cappella della sua tomba, nel Cimitero di Santa Maria del Pianto a Napoli, l'incisione recita solo "Antonio de Curtis, Principe Imperiale di Bisanzio".

Totò spaziò in tutti i generi teatrali, con oltre 50 titoli, dal variété all'avanspettacolo, alla "grande rivista" di Michele Galdieri, passando per il cinema, con 97 film interpretati dal 1937 al 1967, visti da oltre 270 milioni di spettatori, un record nella storia del cinema italiano,[3] e la televisione con una serie di 9 telefilm diretti da Daniele D'Anza, poco prima della scomparsa, ormai ridotto alla quasi cecità che lo aveva costretto nel 1957 ad abbandonare il palcoscenico.

Grande maschera nel solco della tradizione della Commedia dell'Arte, accostato di volta in volta a comici come Buster Keaton o Charlie Chaplin, conservò fino alla fine una sua unicità interpretativa che risaltava sia in copioni puramente brillanti (diretto, tra gli altri, da Mario Mattoli, Camillo Mastrocinque o Sergio Corbucci), sia in parti drammatiche, interpretate alla fine della carriera, con maestri del calibro di Alberto Lattuada o Pier Paolo Pasolini. A distanza di decenni i suoi film riscuotono ancora grande successo, e molte delle sue memorabili battute e gag-tormentoni sono spesso diventate anche perifrasi entrate nel linguaggio comune.

Indice

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Biografia [modifica]

Lo scugnizzo del rione Sanità [modifica]

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(Nello sketch del "vagone letto", ripreso in Totò a colori)

Nacque nel rione Sanità, in via Santa Maria Antesaecula, al secondo piano del civico 109, da una relazione clandestina di Anna Clemente col marchese Giuseppe De Curtis (1874-1945) che, in principio, non lo riconobbe. L'assenza della figura paterna pesò molto, anche in seguito, sul carattere dell'attore, tanto che nel 1933, già famoso sui palcoscenici italiani, si fece adottare dal marchese Francesco Maria Gagliardi Focas, in cambio di una rendita.[4]

Studiò al collegio Cimino senza ottenere la licenza ginnasiale: la madre lo voleva sacerdote, ma, incoraggiato dai primi successi nelle piccole recite in famiglia (chiamate a Napoli "periodiche"), e attratto dagli spettacoli di varietà, nel 1913, a soli quindici anni, iniziò a frequentare i teatrini periferici esibendosi in macchiette e imitazioni del repertorio di Gustavo De Marco con lo pseudonimo di Clerment.[4]

Proprio su questi palcoscenici di periferia incontrò attori del calibro di Eduardo De Filippo, Peppino De Filippo e i musicisti Cesare Andrea Bixio e Armando Fragna. Dopo il servizio militare, svolto ad Alessandria durante la prima guerra mondiale, si esibì ancora come macchiettista, scritturato dall'impresario Eduardo D'Acierno - diventò poi celebre la macchietta del "Bel Ciccillo" riproposta nel 1949 nel film Yvonne la nuit - e ottenne un primo successo alla Sala Napoli, locale minore del capoluogo campano, con una parodia della canzone di E. A. Mario Vipera, intitolata Vicolo.

Su questi palcoscenici, spesso improvvisati, con orchestre di second'ordine e comprimari raccogliticci, Totò imparò l'arte dei guitti, ossia di quegli attori - napoletani e non - che recitavano senza una sceneggiatura ben impostata, arte alla quale Totò aggiunse caratteristiche tutte sue: una conformazione particolare del naso e del mento - frutto di un incidente giovanile col precettore del ginnasio - movimenti del corpo in libertà totale, da burattino snodabile, e una comicità surreale e irriverente, pronta tanto a sbeffeggiare i potenti quanto ad esaltare i bisogni umani primari: la fame, la sessualità, la salute mentale.

I primi successi [modifica]

Nel 1922 si trasferì a Roma con la madre e in un primo momento ottenne alcuni ingaggi in compagnie di basso livello impegnate nella recitazione di farse pulcinellesche, nelle quali gli toccava il ruolo minore del mamo, la spalla di Pulcinella. Con la compagnia di Umberto Capece fece poca strada; dopo un breve periodo di disoccupazione venne però notato da Giuseppe Jovinelli, titolare del teatro omonimo, dove iniziò ad esibirsi in imitazioni e balletti musicali comici che ottennero un grande successo di pubblico. Approdò quindi alla Sala Umberto, frequentata dalla migliore società della capitale: il successo crebbe ancora. Il suo costume di scena in questo periodo era già quello a cui restò fedele sino alla fine: un logoro cappello a bombetta, un tight troppo largo, una camicia col colletto basso, una stringa come "farfallino", pantaloni "a zompafosso" e un paio di calze colorate su scarpe basse e logore.[5]

Oltre al costume scenico, il suo modo di recitare. Totò è come preso dalla "mania della fame". La sua capacità di rendere al meglio l'espressione di uomo affamato e mai sazio è data dalla sua voglia di mettere in scena la povertà, e rappresentarla con la sua faccia peggiore: la fame. Totò infatti affermava sempre che l'attore, per recitare come tale, deve andare in scena sempre prima di mangiare.

Il variété e l'avanspettacolo [modifica]

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(Un modo di dire tipico di Totò)

Dal 1925 iniziò a farsi conoscere anche livello nazionale, recitando in spettacoli di variété, e andando in tournée nelle maggiori città italiane. Nel 1927 fu scritturato, nuovamente a Roma, da Achille Maresca, titolare di due diverse compagnie; Totò entrò a far parte prima della compagnia di cui era primadonna Isa Bluette, una delle soubrette più in voga del periodo, e poi, dal 1928 di quella di Angela Ippaviz; gli autori erano "Ripp" (Luigi Miaglia) e "Bel Ami" (Anacleto Francini).[6]

Due anni dopo tornò a Napoli, al Teatro Nuovo con la Compagnia Stabile Napoletana Molinari diretta dall'impresario Enzo Aulicino, nella quale recitò per la prima volta insieme a Titina De Filippo in una parodia de I tre moschettieri e, in seguito, in Miseria e nobiltà ed altre commedie del repertorio di Eduardo Scarpetta.[5][7]

In questo periodo conobbe un'attrice di varietà di origine genovese, Liliana Castagnola, con la quale visse una breve ma intensa storia d'amore (pare che una sera Totò recitò in un teatro al buio solo per lei); la relazione con la bellissima chanteuse, però, fu funestata da continue avversità: Totò riceveva spesso biglietti e telefonate anonime che lo mettevano in guardia da quella donna dal carattere strano. La Castagnola, donna fatale sul palcoscenico e nella vita reale (costante oggetto delle cronache mondane, fu espulsa dalla Francia per aver indotto due uomini al duello; a Montecatini un suo amante respinto si tolse la vita), aveva tuttavia per l'artista napoletano un sentimento sincero e passionale, per il quale era disposta a buttarsi alle spalle una vita girovaga e senza freni.

Liliana, pur di restare accanto al suo uomo, propose di farsi scritturare al Teatro Nuovo di Napoli, ma Totò, stanco della relazione con quella donna possessiva e opprimente, decise infine di accettare un contratto con la compagnia "Cabiria" che lo avrebbe portato a Padova.

L'epilogo fu che Liliana si suicidò ingerendo un intero tubetto di sonniferi. A soli 35 anni fu trovata morta, la mattina dopo, nella sua stanza d'albergo. Il suo biglietto d'addio a Totò esprimeva tutto lo strazio dell'innamorata abbandonata: «Grazie per il sorriso che hai saputo dare alla mia vita disgraziata. Non guarderò più nessuno. Te l'avevo promesso e mantengo».[8]
La vicenda divenne un enorme scandalo giornalistico, cosa che d'altra parte fece una grande pubblicità a Totò, conosciuto, ma non ancora pienamente affermato come artista. L'attore rimase tuttavia sconvolto dal suicidio della donna tanto che decise di seppellirla nella cappella dei De Curtis a Napoli.

Riprese a lavorare intensamente, e dopo un breve periodo in cui ritornò a lavorare con la compagnia di Maresca, dal 1932 diventò capocomico, proponendosi (anche come impresario di compagnie che gravitavano intorno alla sua persona), nel genere dell'avanspettacolo.[7] L'avvento del cinema sonoro e la scomparsa delle figure teatrali fino ad allora tradizionali come il "fine dicitore" imposero questo cambiamento, e Totò divenne l'esponente più rappresentativo del nuovo genere, con riviste da lui anche scritte, spesso insieme a Guglielmo Inglese (con Eduardo Passarelli e Mario Castellani come sue spalle), per tutti gli anni 30, e portate in scena in tutto il Paese.
Ridi che ti passa, Se quell'evaso io fossi, L'ultimo Tarzan sono alcuni titoli; le soubrettes che lo circondavano erano anch'esse celebri: Clely Fiamma, Adriana Edelweiss, Clary Sand e Olivia Fried. Tra le macchiette tipiche di Totò di questo periodo ne troviamo anche alcune che il comico poi riproporrà più tardi nel suo repertorio cinematografico: "Il pazzo" , "Il chirurgo" , "Il manichino". Lo spettacolo spesso si concludeva con la classica "passerella", mentre Totò correva tra il pubblico con una una piuma sulla bombetta, al ritmo della fanfara dei Bersaglieri: anche questo sarebbe stato riproposto più tardi nel suo film I pompieri di Viggiù.[6]

Il 6 marzo 1935 si sposò con la fiorentina Diana Bandini Rogliani conosciuta quattro anni prima a Firenze durante uno spettacolo; dall'unione, nel 1933, nacque la figlia Liliana. Nel 1937 Giuseppe De Curtis lo riconobbe infine legalmente come figlio.

L'incontro con il cinema [modifica]

Totò con Eduardo De Filippo

Totò incontrò il cinema già nel 1930, con l'avvento del sonoro, quando Stefano Pittaluga, un esercente ligure che aveva rilevato la Cines dal fallimento e in quel momento produceva gran parte dei film italiani, decise di fargli un provino. Il film, intitolato Il ladro disgraziato, non vide mai la luce, ma esistono le riprese del provino, ritrovato e restaurato nel 1995. Furono allora gli intellettuali che già lo ammiravano a teatro, i primi a volerlo in qualche loro progetto: tra di loro Umberto Barbaro e soprattutto Cesare Zavattini, che tentò infatti di imporlo nel 1935 per la parte di Blim nel film Darò un milione di Mario Camerini - ruolo andato poi a Ernesto Almirante - e nel 1943 pubblicò il romanzo Totò il buono pensando a lui.

Non realizzandosi questi progetti cinematografici il vero debutto avvenne sotto l'egida di Gustavo Lombardo, il fondatore della Titanus, il quale nel 1937 produsse il primo film di Totò, Fermo con le mani![9] diretto da Gero Zambuto, mediocre tentativo di proporre temi toccati dal personaggio di Charlot, già superati dalla forza surreale, da burattino irriverente e snodabile, di Totò. In una scena del film rimasta celebre e stranamente non tagliata dalla censura dell'epoca, arriva a prendere in giro il Duce, Benito Mussolini.

Nell'anteguerra girò altri cinque film, con spunti interessanti nel surreale: Animali pazzi del 1939 di Carlo Ludovico Bragaglia, già militante nelle file del futurismo, con testo scritto da Achille Campanile, e San Giovanni decollato del 1940 di Amleto Palermi, dignitosa trasposizione della commedia teatrale di Nino Martoglio, già cavallo di battaglia del mattatore teatrale siciliano Angelo Musco.

Una menzione particolare la merita poi Il ratto delle Sabine del 1945 di Mario Bonnard, storia di una scalcagnata compagnia di guitti in giro per le città di provincia che decidono di rappresentare il testo mediocre di un professore deriso dai suoi stessi alunni, con un insuccesso colossale.

La grande rivista [modifica]

Anna Magnani nel 1946
Anna Magnani nel 1946

Più in generale, questi primi esperimenti cinematografici, lunari e surreali, non ottennero il successo di pubblico che Totò aveva invece sul palcoscenico. Quando tornò al teatro, alla fine del 1940, l'avanspettacolo era già tramontato, sostituito dalla "grande rivista", caratterizzata da scenografie sfarzose, primedonne da sogno (su tutte Wanda Osiris), testi moderatamente satirici e qualunquistici per quanto concesso dal regime fascista, comprimari e orchestre di grande livello. Totò ebbe la fortuna di incontrare sul suo cammino il più grande scrittore di riviste teatrali degli anni quaranta, Michele Galdieri, e una grande soubrette e attrice di livello e bravura pari alla sua, Anna Magnani, in spettacoli rimasti memorabili nella storia del nostro teatro. Con Galdieri strinse un sodalizio inossidabile durato nove anni, con spettacoli messi in scena dagli impresari Elio Gigante - poi scopritore della cantante Mina - e Remigio Paone. I titoli bastano da soli per consegnarli alla memoria: Quando meno te l'aspetti del 1940, Volumineide del 1941, Orlando Curioso del 1942, Che ti sei messo in testa? e Con un palmo di naso, del 1944.

In essi la forza satirica esercitata in vario modo prima contro il regime fascista e quindi contro gli occupanti tedeschi, è sempre ben presente: più volte la censura di regime intervenne per modificare battute considerate irriverenti, ma Totò, rischiando di suo, spesso pronunciava ugualmente le frasi tagliate suscitando autentiche ovazioni; dopo le prime rappresentazioni romane di Che ti sei messo in testa, l'attore, avvertito che sarebbe stato di lì a poco arrestato (insieme ai fratelli De Filippo), dovette tuttavia scappare a Valmontone per ripresentarsi solo dopo la liberazione di Roma con una nuova rivista (Con un palmo di naso) in cui finalmente dava libero sfogo alla sua satira impersonando Mussolini e Hitler.[10]

La Magnani, dal canto suo, si faceva forte della propria umoralità popolana, tipica del personaggio in scena, con un linguaggio diretto ed esplicito. I due formavano dunque un sodalizio tra i più riusciti e irripetibili, interrotto bruscamente dopo la grande rivelazione a livello mondiale dell'attrice romana con un film epocale diretto dal suo compagno Roberto Rossellini: Roma città aperta, del 1945. Da quel momento le loro strade si divisero: nel 1956 la Magnani vinse il Premio Oscar come migliore attrice protagonista e recitò con grandi nomi del cinema cinema hollywoodiano come Burt Lancaster e Marlon Brando. Totò invece rimase fino in fondo la grande maschera della Commedia dell'Arte in una serie impressionante di pellicole assemblate alla meglio su canovacci che spesso davano mano libera all'attore. Il primo artefice di questa riscoperta cinematografica di Totò fu l'avvocato marchigiano Mario Mattòli, già organizzatore e regista di spettacoli teatrali per la sua Compagnia Teatrale Za-Bum, lo scopritore autentico di Vittorio De Sica.

La Totò-mania [modifica]

Totò con Isa Barzizza nel film Le sei mogli di Barbablù del 1950
Totò con Isa Barzizza nel film Le sei mogli di Barbablù del 1950
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Il periodo d'oro del comico si può circoscrivere dal 1947 al 1952, quello in certo senso più libero, con parodie di grande successo che contengono riferimenti satirici piuttosto espliciti, in molti casi alquanto pesanti, all'attualità: il dopoguerra, la borsa nera, i nuovi arricchiti, la sterilità di chi comanda (gli onorevoli e, in particolar modo, i "caporali", intesi genericamente come coloro danno ordini alla truppa), furono presi di mira sia sul palcoscenico con le ultime due grandi riviste di Michele Galdieri, C'era una volta il mondo del 1947 e Bada che ti mangio! del 1949, sia nel cinema.

Se in teatro il successo crebbe a dismisura (basti pensare al celeberrimo sketch del vagone letto con Isa Barzizza e Mario Castellani, presentato per la prima volta proprio nella rivista "C'era una volta il mondo") anche sul grande schermo giunse un grandioso successo di pubblico, a partire da I due orfanelli del 1947 fino a Totò a colori del 1952. In questi film l'attore si scatena e la comicità di avanspettacolo è più pura, meno imbrigliata dalle maschere o personaggi che in seguito, per motivi diversi, alcuni autori tentarono di cucirgli addosso. Assediato da proposte di tutti i generi, senza avere a disposizione neanche una giornata libera, l'attore lavorava continuamente, girando a ritmo frenetico alcune delle sue parodie più folli, dirette dai cosiddetti "registi velocisti" Mattòli, Bragaglia, Stefano Vanzina e il giovane Luigi Comencini. Si ricordano in questo periodo, tra gli altri, titoli divenuti poi dei "classici" come Totò le Mokò, L'imperatore di Capri, Totò sceicco.

È da notare che a volte il copione, vuoi anche per i tempi ristrettissimi in cui venivano prodotti i suoi film, rappresentava solo un timido canovaccio per Totò, che poi si trovava ad improvvisare davanti alla macchina da presa: Totò inventava le battute, a volte perfino la trama; così tuttavia sono nate anche alcune delle sue scene più famose.[11]

Ebbe anche, durante la stagione 1948-1949, un'esperienza come doppiatore cinematografico per un film non suo, l'avventuroso-esotico La vergine di Tripoli (Slave girl) diretto per la Universal Pictures da Charles Lamont e interpretato da Yvonne De Carlo e George Brent. Nel film, ritrovato e riproposto in televisione nel 1996, il comico napoletano è la voce fuori campo di un cammello, ribattezzato Gobbone nella versione italiana. Inoltre, nel manifesto nostrano della pellicola appare un curioso Totò disegnato a fumetti che pronuncia la frase In questo film dico la mia anch'io!. Totò stesso fu in seguito doppiato, con risultati piuttosto stridenti, da Renato Turi, voce radiofonica molto popolare negli anni cinquanta e sessanta (nel film Totò diabolicus del 1962 nel ruolo del monsignore), ma soprattutto da Carlo Croccolo, l'unico doppiatore autorizzato dall'attore (sempre in Totò diabolicus nel ruolo della baronessa, e in altri film) e insieme al quale, nel 1964, scrisse la sceneggiatura per un film, Fidanzamento all'italiana, che non fu mai realizzato per mancanza di finanziamenti.

Diventato un beniamino del pubblico infantile, gli fu dedicata anche una collana a fumetti, Totò a fumetti, pubblicata tra il 1952 e il 1953 in 12 numeri e 3 albi speciali dalle Edizioni Diana di Roma.[12]

Proprio quando le cose a livello lavorativo sembravano andare per il meglio, alcune nubi oscurarono una vita familiare che l'attore, schivo, timido e riservato (esattamente il contrario di come lo si vedeva sul set o in palcoscenico) desiderava fosse serena e tranquilla. La moglie Diana, da cui in precedenza si era separato legalmente ma che continuava a vivere sotto il suo stesso tetto solo come "madre di sua figlia" (si erano separati nel 1939 in Ungheria), durante un ricevimento conobbe un avvocato, che poi sposò. La stessa figlia, poco tempo dopo, volle sposare contro la volontà paterna Gianni Buffardi (figliastro del regista Carlo Ludovico Bragaglia), un uomo da cui avrebbe divorziato alcuni anni dopo. Nel 1951 Totò rimase dunque solo, e si gettò a capofitto nel lavoro interpretando film prodotti da Carlo Ponti e Dino De Laurentiis, i quali grazie ai guadagni delle sue pellicole avevano potuto allestire una loro società; in questo periodo Totò corteggiava insistentemente un'attrice dal grande fascino, Silvana Pampanini, che però lo respinse.

Nel febbraio 1952 conobbe Franca Faldini, una giovanissima aspirante attrice romana (nata nel 1931), appena rientrata da Hollywood dove era stata, fra l'altro, ospite dell'amico Errol Flynn. La loro storia d'amore non fu frutto di un colpo di fulmine, ma si trattò di un progressivo avvicinamento fra persone caratterialmente molto diverse. A separarli, tra l'altro, una differenza d'età di circa trent'anni. Proprio per la riservatezza ed il pudore di entrambi, il presunto matrimonio realizzato segretamente all'estero (si scrisse in Svizzera nel 1954), non avvenne mai, secondo ciò che la stessa Faldini tenne a precisare. Totò, a tal proposito, spiegò in una lettera:

Collabora a Wikiquote « Perché ho il senso della misura, il senso del ridicolo, Franca è molto più giovane di me, e io non avrei mai sopportato i soliti maligni commenti del prossimo, l'attore Totò deve fare ridere, ma l'uomo Totò, anzi il Principe De Curtis mai, il Principe De Curtis - lo sappiamo - è una persona seria. »


Poco tempo dopo i due andarono a vivere insieme in un appartamento in via dei Monti Parioli a Roma, e la Faldini gli starà poi accanto per tutta la vita. Dalla relazione nacque un figlio nel 1954, Massenzio, che però, prematuro, visse solo poche ore, mentre la madre rischiò la vita a causa di una nefropatia gravidica da albumina. Dopo la morte del bambino tanto agognato, Totò rimase in casa per molti giorni: la perdita di quel figlio maschio, che avrebbe potuto portare il suo cognome, lo aveva profondamente prostrato, ma l'amore per Franca, pallida e smagrita per la malattia, gli diede la forza di continuare a vivere e a lavorare. Totò e la Faldini, così diversi - sia di carattere sia di mentalità - ebbero molti scontri, probabilmente dovuti anche alla differenza di età. Furono anche sul punto di separarsi; continuarono tuttavia a vivere insieme fino alla morte dell'artista.

Critiche e esperimenti [modifica]

Una scena di Totò a colori, uno dei primi film italiani a colori
Una scena di Totò a colori, uno dei primi film italiani a colori

Negli anni '50 e nei primi anni '60 l'attore era spesso osteggiato da una critica che non apprezzava la sua grande verve comica e scoppiettante, e che gli negò sino alla fine il riconoscimento di un grande spessore artistico, con commenti che letti oggi possono apparirci a volte anche eccessivamente censori. Valgono da esempio alcuni brani di articoli dell'epoca:

Collabora a Wikiquote « È veramente doloroso constatare come la comicità di certi film italiani sia ancora legata a sorpassati schermi appartenuti al più infimo teatro di avanspettacolo [...] e Totò sfoggia come al solito i tipici atteggiamenti di quella comicità così banale. »

(A proposito de Il medico dei pazzi, su La Voce Repubblicana, Roma 14 novembre 1954)
Collabora a Wikiquote « È proprio vero, con Totò e Peppino si ride sempre, ma il soggetto è proprio questione di avanspettacolo, se il regista e gli sceneggiatori si sforzassero le loro meningi, per tirare fuori una storia decente, con Totò e Peppino si potrebbero vedere dei film godibilissimi, e invece... »

Collabora a Wikiquote « [...] Gli spettatori non sono fortunati, siamo giusti, costretti ad ingerire prodotti così squallidamente raffazzonati, così privi di spirito e d'ogni luce d'intelletto umano. »

(A proposito di Totò, Eva e il pennello proibito, su L'Unità, Milano, 15 febbraio 1959)

Totò cercò tuttavia in vari modi, durante la sua carriera di farsi benvolere dalla critica cinematografica. Tentò la strada neorealista con Guardie e ladri (che gli valse un Nastro d'argento), in compagnia di Aldo Fabrizi, e Totò e Carolina (soggetto di Ennio Flaiano); quest'ultimo girato nel 1953 e massacrato dai tagli censorii, uscì nelle sale gravemente manomesso solo nel febbraio 1955. Recitò anche su soggetti pirandelliani, come La patente di Luigi Zampa e L'uomo, la bestia e la virtù di Steno; tentò anche di produrre da solo i suoi film nel 1955 ma rinunciò dopo i malinconici Destinazione Piovarolo e Il coraggio, entrambi diretti da Domenico Paolella. Si rifugiò quindi nelle predilette farse di Scarpetta, di ambiente napoletano ma tratte da pochade francesi di fine Ottocento, nella trilogia diretta da Mattòli Un turco napoletano (sulla bramosia di donne, quindi sul sesso), Miseria e nobiltà (sulla voglia di cibo, quindi sulla fame) e Il medico dei pazzi (sulla sanità mentale): questa si può dunque considerare una ideale trilogia dei bisogni primari tipici della maschera di Pulcinella, qui incarnata dal voluttuoso Felice Sciosciammocca.

Nel 1958 prese parte al film I soliti ignoti di Mario Monicelli, accanto a Gassman e Mastroianni, in quello che viene visto come una sorta di "passaggio di consegne" tra la comicità teatrale di Totò e il nuovo, allora nascente, filone della commedia all'italiana.

Totò si prestò anche ad esperimenti di cinema, come il già citato Totò a colori, uno dei primi film italiani girato a colori col sistema Ferraniacolor, e Il più comico spettacolo del mondo, primo e unico film italiano tridimensionale, manomesso quasi subito dopo la sua uscita e sostituito con la versione normale bidimensionale. In queste pellicole la quantità di luce necessaria era talmente grande che nessuno osava guardare direttamente le lampade ad arco per paura di danni alla retina; durante una scena di Totò a colori l'attore fuggì dal teatro di posa con la parrucca bruciacchiata e fumante. Qualcuno ipotizzò che proprio quelle luci troppo forti avessero provocato il primo danno alla vista.

La malattia agli occhi [modifica]

Nel 1956 Totò fece la sua ultima rivista teatrale; in quello spettacolo si ammalerà definitivamente e il danno alla vista non lo abbandonerà più.

La rivista che si chiamava A prescindere era stata scritta da Nelli e Mangini e organizzata da Remigio Paone.
Debuttò a Roma il 1 dicembre 1956; dopo due mesi trascorsi nella capitale, si trasferì a Milano; lì Totò si ammalò di broncopolmonite, poi si trasferì a Genova, dove iniziò a soffrire di disturbi alla vista; a Firenze le condizioni peggiorarono, ma a Palermo il 4 maggio 1957, ebbe un "crollo".

Totò perse infatti completamente la vista nella parte centrale della pupilla dell'occhio destro (vedeva soltanto sui lati degli occhi, come un vetro appannato). Inoltre, circa venti anni prima aveva già perso l'altro occhio per un distacco di retina operato male: Totò si ritrovò di fatto quasi cieco.[13]

A causa di ciò fu costretto ad interrompere la rivista (l'impresario Remigio Paone, non credendolo, richiese una visita fiscale) e a rimanere immobile per circa sette mesi in casa, proprio quando l'anno precedente aveva ottenuto un irripetibile successo con alcuni film memorabili diretti da Camillo Mastrocinque e interpretati in coppia con Peppino De Filippo (tra questi, sicuramente da ricordare La banda degli onesti, Totò, Peppino e la... malafemmina o Totò, Peppino e i fuorilegge, tutti del 1956).

Grazie alle cure dei medici, la vista migliorò ma non in modo soddisfacente. Totò, da questo momento in poi, fu costretto ad indossare sempre un pesante paio di occhiali scuri, che toglieva solo per le riprese dei film.

Il malinconico rientro [modifica]

Costretto a lavorare senza sosta, con la malattia agli occhi che peggiorava sempre più (subì due distacchi di retina, durante la lavorazione di La legge è legge con Fernandel e de La cambiale), l'attore si trovava costretto ad accettare qualsiasi copione, anche di infimo livello. I produttori tuttavia non si fidavano più a lasciarlo solo e gli affiancavano partner in molti casi gradevoli e di livello come Agostino Salvietti, Erminio Macario, Ugo Tognazzi e un grande Nino Taranto, oltre al prediletto Peppino De Filippo; spesso infarcendo i suoi film di melense storie d'amore parallele. Infine lo utilizzavano come veicolo di lancio per cantanti come Johnny Dorelli, Fred Buscaglione, Rita Pavone e Adriano Celentano, di meteore come Pablito Calvo interprete di Marcellino pane e vino. Gli intellettuali, che negli anni '30 stravedevano per lui, adesso non lo consideravano quasi più, tranne qualche sortita sporadica di Aldo Palazzeschi, Giuseppe Marotta e Mario Soldati.

Poche furono le vere occasioni importanti: Eduardo De Filippo per Napoli milionaria, Vittorio De Sica per L'oro di Napoli, Mauro Bolognini per Arrangiatevi!, e Sergio Corbucci, forse l'ultimo regista brillante importante per il comico. Collaborarono, infatti, ad almeno due film da rivalutare ampiamente: I due marescialli e Gli onorevoli, nonché ai meno riusciti Yvonne la nuit di Giuseppe Amato (la prima parte drammatica proposta all'attore) e il frammentato Dov'è la libertà? di Roberto Rossellini, girato nel 1952 ma abbandonato quasi subito dall'autore; terminato da Lucio Fulci e da Federico Fellini per le scene del tribunale (e non da Mario Monicelli come più volte affermato) uscì nelle sale soltanto nel 1954.

Nel tempo libero Totò componeva canzoni (la più celebre è Malafemmena, composta nel 1951 e dedicata alla moglie Diana Bandini, nota in tutto il mondo ed eseguita in un gran numero di versioni), e poesie (tra cui la famosa 'A Livella, sulla morte che uguaglia le differenze sociali delle persone). Come autore di canzoni partecipò anche al Festival di Sanremo del 1954 con il brano Con te! classificandosi al nono posto nella graduatoria finale. Leggeva i romanzi gialli di Georges Simenon dei quali era un grande appassionato (si entusiasmò vedendo il Maigret superbamente reso da Gino Cervi nella prima serie di telefilm del 1964-1965).

Dava prova della sua generosità aiutando i più bisognosi, e inoltre curando e assistendo, in un canile fuori Roma fatto costruire da lui stesso, ben 220 cani randagi.[14]

Nel 1960 stilò anche i suoi scritti, pubblicati in seguito come "Gli scritti di Totò".

Una prima rivalutazione [modifica]

La scena del "Votantonio" ne Gli onorevoli (1963)
La scena del "Votantonio" ne Gli onorevoli (1963)

Nel 1963 venne pubblicizzata una grande notizia: Totò interpretava il suo centesimo film, il primo interamente drammatico, Il comandante, malinconica storia di un generale in pensione scritta da Rodolfo Sonego (sceneggiatore di fiducia di Alberto Sordi) e diretta da Paolo Heusch, regista romano di documentari conosciuto dagli appassionati per aver girato nel 1958 il primo film di fantascienza italiano, La morte viene dallo spazio, che Totò aveva provveduto immediatamente a trasformare in parodia, Totò nella luna. In realtà si trattava dell'ottantaseiesimo film.

Lello Bersani intervistò Totò nella rubrica televisiva Tv7[15] (mentre il precedente approccio di Totò sul piccolo schermo era stato disastroso: ospite d'onore in una puntata del Musichiere di Mario Riva nel 1958, il comico si fece scappare incautamente un Viva Lauro!, leader del Partito Monarchico, che gli costò una sospensione); Oriana Fallaci e Maurizio Costanzo lo intervistarono per i maggiori periodici italiani del tempo.

Ma il film di Heusch non ebbe alcun successo, rivelandosi un disastro al botteghino nonostante il grande impegno profuso. Totò fu dunque costretto a rientrare nei ranghi, recitando curiose rivisitazioni di film mitologici diretti da Fernando Cerchio (tra cui Totò contro Maciste, Totò e Cleopatra e Totò contro il pirata nero); esplorò il filone notturno-sexy insieme ad Erminio Macario nel dittico Totò di notte n. 1 e Totò sexy, senz'altro il punto più basso della sua carriera, il secondo addirittura assemblato con gli scarti di lavorazione del precedente.

Recitò accanto al grande attore hollywoodiano Walter Pidgeon nel film I due colonnelli, diretto da Steno; infine scoprì un potenziale di sadismo nella maschera e nel personaggio, rimasto fino ad allora poco esplorato (si pensi al balletto nella taverna di Algeri, tutto a spese della ballerina, in Totò le Mokò di Bragaglia), con i "nerissimi" Totò diabolicus di Steno, nel quale recita ben sei personaggi diversi in una parodia del genere horror, e soprattutto con il sottovalutato Che fine ha fatto Totò Baby?, diretto da Paolo Heusch ma firmato dallo sceneggiatore Ottavio Alessi per ragioni di distribuzione. Qui la cattiveria del personaggio di Totò raggiunge il limite estremo in un film all'epoca rifiutato dal pubblico, ma oggi ampiamente rivalutato.

Fellini, Lattuada, Pasolini [modifica]

Proprio quasi fuori tempo massimo, quando il grande comico pensava di avere sprecato il suo talento in filmetti dozzinali, arrivarono le proposte di grandi cineasti per le quali il principe riservò entusiasmo e perplessità. Federico Fellini lo volle per il suo progetto ambizioso e mai realizzato, Il Viaggio di G. Mastorna, interrotto per la grave malattia del maestro riminese; Alberto Lattuada nel 1965 gli affidò il ruolo del frate Timoteo nella versione di un grande testo teatrale di Niccolò Machiavelli, La Mandragola: qui le scene della persuasione di madonna Lucrezia e il dialogo con i teschi nella cripta, considerate tra le migliori della sua arte, vennero girate in condizioni impossibili e in clandestinità dentro un convento di Urbino.

La critica lo lodò compatta e a quel punto Totò capì di essere stato male utilizzato, lasciandosi andare a reminiscenze malinconiche e vagheggiando ancora i due grandi progetti ai quali teneva tantissimo: la trasposizione di un don Chisciotte della Mancia e un film da girare interamente muto.

Lattuada lo voleva anche come interprete di un film tratto da una novella di Pirandello, La cattura, ma questo progetto si arenò perché Totò incontrò sulla sua strada uno dei più lucidi scrittori e intellettuali del Novecento, Pier Paolo Pasolini, il quale lo spogliò di tutta la sua aggressività e cattiveria, per farne un sottoproletario innocente in un film sulla crisi del marxismo dopo la morte di Palmiro Togliatti, Uccellacci e uccellini; film oggi indubbiamente datato in molti punti, tranne ovviamente nelle sequenze stupende dei tentativi di evangelizzazione dei falchi e dei passerotti, uno dei massimi punti del suo talento.

Per questa grande interpretazione, realizzata da Totò ormai quasi cieco, vinse nel 1966 una Palma d'Oro speciale al Festival di Cannes, e un Nastro d'Argento come miglior attore di quell'anno. Con Pasolini fece in tempo a girare altri due cortometraggi tra la fine del 1966 e l'inizio del 1967, il più riuscito La Terra vista dalla Luna e l'emozionante e poetico Che cosa sono le nuvole? il suo autentico testamento artistico, nel quale interpreta la marionetta di Jago nella recita shakesperiana in un teatro dei burattini che, dopo aver convinto Otello (Ninetto Davoli) a uccidere Desdemona (Laura Betti) viene distrutta dal pubblico e mandata al macero in una discarica, dove, prima di morire, si accorge di quella grande bellezza del creato che sono le nuvole.

Questa degnissima conclusione della carriera cinematografica ebbe però un'appendice deludente col piccolo schermo.

Le delusioni televisive [modifica]

Dopo il forzato addio per l'incidente nella trasmissione Il Musichiere e l'intervista di Lello Bersani, Totò rientrò sul piccolo schermo nel 1965 in un varietà del sabato sera, Studio Uno, scritto da Castellano e Pipolo, accanto a Mina. Partecipò a due trasmissioni: nella prima cantando in duo una sua canzone, nella seconda proponendo un vecchio sketch con Mario Castellani. Ma provocò sconcerto il fatto che la censura televisiva tagliasse una battuta che ironizzava sugli onorevoli.

Allora Totò propose un'idea accarezzata da tempo: una storia della comicità teatrale attraverso ricostruzioni di battute di ogni tempo, con una introduzione per dimostrare come si rideva in una determinata epoca, a confronto con battute più fresche e moderne. Se fosse stata realizzata e conservata sarebbe oggi un documento impressionante di dimostrazione comica: Totò, insieme al fidato Castellani, impiegò diversi mesi per ricostruire e ricercare vecchi copioni brillanti, ma i produttori alla fine decisero di proporre e realizzare una serie di nove telefilm a cura di Daniele D'Anza, girati alla meglio e in gran fretta; cinque episodi autoconclusivi in cui Totò è protagonista assoluto, e altri quattro nei quali il principe è costretto a dividere la scena con le mode del momento (il bravissimo Ubaldo Lay, popolarissimo in quel periodo come il Tenente Sheridan) e con i cantanti e complessi musicali più in voga.

Una disgraziata operazione nella quale intervenne un'implacabile censura televisiva, che richiese di rigirare interamente un episodio, Il tuttofare, e modificarne parecchi altri.

Daniele D'Anza venne intanto chiamato a girare uno sceneggiato, presumibilmente Abramo Lincoln e la direzione passò dapprima a Bruno Corbucci, fratello di Sergio e in seguito a Sandro Bolchi, i quali non finiranno in tempo il lavoro; il 12 aprile 1967 si girò lo sketch del contrabbasso del telefilm Totò Ye Ye.

Purtroppo tre giorni più tardi l'attore morì lasciando incompleta la serie.

Gli ultimi lavori [modifica]

Gli ultimi giorni di vita di Totò furono densi, quasi sovraccarichi di lavoro. Nonostante la malattia l'attore continuava ancora a fumare una sessantina di sigarette al giorno e a bere una quindicina di tazze di caffè, la sua normale razione quotidiana.

I progetti si accavallavano sempre di più.

Apparve in un ruolo da guest-star nel film di Dino Risi Operazione San Gennaro.

Ugo Gregoretti, regista graffiante e sarcastico famoso per Omicron e Il pollo ruspante, che aveva già lavorato con lui nel 1964 in un episodio grottesco e riuscito del film Le belle famiglie, lo volle nella parte del giudice nello sceneggiato Il circolo Pickwick da Charles Dickens (lo sostituirà poi Tino Buazzelli).

Gli fu anche proposta una parte ne I fratelli Cuccoli, tratto dal romanzo di Aldo Palazzeschi.

Il regista di caroselli pubblicitari Luciano Emmer, col quale aveva lavorato nell'autunno del 1966 in una serie di nove short per il dado da brodo Star (dei quali oggi, ne sopravvivono soltanto due) lo voleva in una parte nello sceneggiato televisivo Geminus (realizzato solo due anni più tardi); persino Luchino Visconti pensò a lui per il ruolo di Antonio Petito in un progetto di film sulla sua vita.

Totò progettava anche un rientro sul palcoscenico con Napoli notte e giorno di Raffaele Viviani, diretto da Giuseppe Patroni Griffi.

Riuscì ad accordarsi col regista Giuliano Biagetti per il progetto di una seconda serie di caroselli pubblicitari, realizzati solo in parte e poi misteriosamente trafugati, come documentato da Marco Giusti nel suo studio sul più famoso contenitore pubblicitario italiano.[16]

Venne invece chiamato da Nanni Loy per interpretare la parte dell'anarchico Romeo nel film Il padre di famiglia (lo sostituirà in seguito Ugo Tognazzi), e l'unica scena girata, il 13 aprile 1967, fu quella di un funerale. Un triste presagio.

La scomparsa improvvisa [modifica]

Collabora a Wikiquote « È morta l'ultima maschera della commedia dell'arte. »

(Nino Manfredi al telegiornale del 15 aprile 1967)

Totò morì nella sua casa dei Parioli alle 3:30 del mattino del 15 aprile 1967, stroncato da una serie improvvisa di tre infarti.

Le sue ultime parole furono, secondo Franca Faldini: "T'aggio voluto bene Franca, proprio assaje", sebbene, secondo la figlia Liliana, disse: "Ricordatevi che sono cattolico, apostolico, romano".[17]

La sua salma fu vegliata per due giorni da tutte le personalità della politica e dello spettacolo giunte a commemorarlo e a rimpiangerlo. La Faldini raccontò un episodio amaro: il sacerdote che venne nella casa dei Parioli in cui avevano vissuto insieme per 15 anni accettò di benedire la salma ancora calda di Totò soltanto se ella, vedova "biblica", fosse uscita sul pianerottolo.

Il 17 aprile 1967 il feretro partì tra ali di folla per Napoli, sua città natale, dove si svolsero i funerali solenni di fronte a una folla straboccante, valutata in circa 200.000 persone, che lo accolsero fin dall'arrivo dell'auto al casello autostradale, poi il suono delle campane salutò per l'ultima volta Totò.
Alcune persone furono colte da malore per lo spavento di vedere lì, in mezzo ai funerali, Totò vivo; l'uomo che tanto assomigliava al principe era in realtà l'attore Dino Valdi, per molti anni controfigura di Totò.

L'orazione funebre venne tenuta da Nino Taranto:

Collabora a Wikiquote « Amico mio, questo non è un monologo, ma un dialogo perché sono certo che mi senti e mi rispondi, la tua voce è nel mio cuore, nel cuore di questa Napoli, che è venuta a salutarti, a dirti grazie perché l'hai onorata. Perché non l'hai dimenticata mai, perché sei riuscito dal palcoscenico della tua vita a scrollarle di dosso questa malinconia che l'avvolge. Tu amico hai fatto sorridere la tua città, sei stato grande, le hai dato la gioia, la felicità, l'allegria di un'ora, di un giorno, tutte cose di cui Napoli ha bisogno. I tuoi napoletani, il tuo pubblico ha voluto che il suo Totò facesse a Napoli l'ultimo "esaurito" della sua carriera, e tu, tu maestro del buonumore questa volta ci stai facendo piangere tutti. Addio Totò, addio amico mio, Napoli, questa tua Napoli affranta dal dolore vuole farti sapere che sei stato uno dei suoi figli migliori, e che non ti scorderà mai, addio amico mio, addio Totò. »


Peppino De Filippo, impossibilitato a partecipare, inviò un telegramma da Salsomaggiore Terme.

Fu sepolto a Napoli nella tomba di famiglia del Cimitero di Santa Maria del Pianto accanto ai genitori e all'amata Liliana Castagnola.

La figlia Liliana raccontò che un guappo del Rione Sanità, nel suo quartiere, volle fare una sorta di secondo funerale, da tenersi il 22 maggio, pochi giorni dopo il trigesimo; nonostante la bara fosse vuota, c'era la stessa folla acclamante e piangente di qualche giorno prima.

Franca Faldini, diventata giornalista pubblicista nel 1968, raccontò in uno scritto del 1977, Quindici anni con Antonio De Curtis, l'uomo umano (come lei lo definisce) che faceva capolino nella vita privata del grande artista.

Nel 1981 venne pubblicato anche Dedicate all'ammore raccolta di poesie che Totò aveva scritto alla Faldini.

Liliana De Curtis, unica figlia del comico, è tutt'ora attiva per mantenere vivo il ricordo del padre.

Il rilancio definitivo [modifica]

Totò, fino alla sua morte fu spesso sottovalutato, ignorato, se non osteggiato dalla critica.

Tuttavia circa cinque anni dopo la sua morte prese il via un imprevisto e fulmineo revival, iniziato nel 1971 con proiezioni in sordina nei cinema di periferia (ma a Roma nel centralissimo Farnese di Campo dei Fiori, che gli dedicò un mese intero di proiezioni e Quirinetta nei pressi di Fontana di Trevi, gremite di giovani, seduti anche in terra fra le file delle poltrone) di film come Totò a colori o Miseria e nobiltà (si racconta che qualcuno vide anche Michelangelo Antonioni uscire visibilmente soddisfatto da una sala dove si proiettava un suo film). Ma è grazie alla televisione privata che Totò ottenne il meritato rilancio. Due registi dell'emittente privata napoletana Canale 21, nel 1976, recuperarono in archivio i film di Totò per mandarli in onda il giovedì sera, fino a passaggi televisivi sempre più massicci, per approdare al mercato delle videocassette e dei DVD. Per non parlare degli spot pubblicitari, alcuni piuttosto discussi; per finire con libri, dischi e gadget editoriali di ogni tipo.

Totò è stato forse l'unico attore italiano ad aver conquistato la quinta generazione di pubblico.

La questione nobiliare [modifica]

Dopo l'adozione nel 1933 da parte del marchese Francesco Maria Gagliardi Focas e il successivo riconoscimento, quattro anni più tardi, come figlio legittimo da parte del padre naturale (il marchese Giuseppe de Curtis), Totò dovette tuttavia intraprendere lunghe e costosissime battaglie legali, portate avanti con caparbia determinazione, per difendere il proprio titolo nobiliare, anche grazie all'aiuto di esperti avvocati.

La sentenza del tribunale di Napoli del 1945 di fatto gli permetteva di unire i titoli del genitore naturale e di quello adottivo, nonché di vedere confermata la sua discendenza della stirpe imperiale bizantina.

È da notare tuttavia che, secondo due ricerche del 2005 di Giovanni Grimaldi e Camillo De Curtis, non vi sarebbe stato alcun fondamento alla base di tali pretese nobiliari, e come il tutto fosse opera di "consulenti araldici" e valenti avvocati, unitamente alla scarsa preparazione dei tribunali dell'epoca.[18] Probabilmente Totò apparteneva effettivamente a un ramo molto decaduto dei nobili de Curtis, quello dei conti di Ferrazzano,[19] sebbene tale discendenza non sia mai stata mai dimostrata.

Il 16 marzo 1960 la Repubblica di San Marino riconobbe il titolo di conte con il predicato di Ferrazzano alla figlia di Totò, Liliana, con decreto presidenziale sammarinese. Lo stemma è d'oro a tre bande di azzurro, al capo dello stesso, con un crescente montante di argento, accompagnato da tre stelle di otto raggi d'oro, 1 e 2.

Teatro [modifica]

Totò portò in scena , dal 1928 al 1957 (anno in cui dovette forzatamente abbandonare le scene a causa della malattia agli occhi) circa 40 spettacoli tra commedie e rappresentazione di avanspettacolo (fino al 1939), oltre a 12 "grandi riviste" negli anni '40 e '50.

A partire dal 1931 Totò figura spesso anche come autore.

In tale elenco non vengono inoltre riportati tutti i titoli degli spettacoli precedenti al 1928 (in particolare a partire dal 1922), realizzati con la compagnia di Giuseppe Jovinelli e presso la Sala Umberto di Roma.

Totò nei panni di Felice Sciosciammocca nella trasposizione cinematografica di Un turco napoletano (1953)
Totò nei panni di Felice Sciosciammocca nella trasposizione cinematografica di Un turco napoletano (1953)

Nella compagnia di Isa Bluette:

  • 1928: Madama Follia, di Ripp (Luigi Miaglia) e Bel Ami (Anacleto Francini)
  • 1928: Il Paradiso delle donne, di Ripp e Bel Ami
  • 1928: Mille e una donna, di Ripp e Bel Ami
  • 1928: Girotondo, di Ripp e Bel Ami
  • 1928: Peccati... e poi Virtudi, di Masera (Marchesotti, Segurini e Rapetti)

Nella compagnia di Achille Maresca:

  • 1928: Sì, sì, Susette, di Ripp e Bel Ami
  • 1928: La stella del Charleston, di Giovanni Manca e Refrain
  • 1929: Monna Eva, di Paolo Reni
  • 1929: La giostra dell'amore, di Cherubini, Armando Fragna e Cesare Andrea Bixio

Nella Compagnia Stabile Napoletana Molinari di Enzo Aulicino:

  • 1929: Messalina, di Kokasse (pseudonimo di Mario Mangini) e Mariasca (pseudonimo di Maria Scarpetta, figlia di Eduardo Scarpetta)
  • 1929: Lo balcone de Rusinella , di Eduardo Scarpetta
  • 1929: Santarellina, di Henri Meilhac e Ludovic Halévy; riduzione di Mario Mangini
  • 1929: Miseria e nobiltà, di Eduardo Scarpetta
  • 1929: Amore e cinema, di Carlo Mauro
  • 1929: Il processo di Mary De' Can, di Carlo Mauro
  • 1929: Bacco, Tabacco e Venere, di Mario Mangini e Carlo Mauro
  • 1930: I tre moschettieri, di Kokasse

Nella compagnia di Achille Maresca:

  • 1931: La vile seduttrice, di Ripp e Bel Ami
  • 1931: La vergine di Budda, primo avanspettacolo scritto da Antonio De Curtis, Totò

Nella Compagnia di Riviste e Fantasie Comiche Totò:

  • 1932: Colori nuovi, scritto da Antonio De Curtis e Guglielmo Inglese
  • 1932: Ridi che ti passa, scritto da Antonio De Curtis e Guglielmo Inglese
  • 1932: Era lui, sì... sì...! Era lei, no... no...!, di Antonio De Curtis e Guglielmo Inglese
  • 1932: La vergine indiana, scritto da Antonio De Curtis
  • 1932: Totò, Charlot per amore, scritto da Antonio De Curtis
  • 1933: Al Pappagallo (Compagnie di riviste di Totò)
  • 1933: Se quell'evaso fossi io, di Bel Ami
  • 1933: Questo non è sonoro, di Tramonti (pseudonimo di Paolo Rampezzotti)
  • 1933: Il mondo è tuo, scritto da Antonio De Curtis e Cliquette (pseudonimo di Diana Bandini, moglie di Totò)
  • 1933: La banda delle gialle, di Tramonti
  • 1933: Dalla calza al dollaro, di Tramonti
  • 1933: Il grand'Otello, di Bel Ami
  • 1934: La mummia vivente, di Bel Ami e Tramonti
  • 1934: I tre moschettieri, di Mario Mangini e Tramonti
  • 1935: Belle o brutte mi piaccion tutte, di Guglielmo Inglese e Tramonti
  • 1936: 50 milioni... c'è da impazzire!, scritto da Antonio De Curtis e Guglielmo Inglese
  • 1936: Una terribile notte, di Mario Mangini
  • 1937: Dei due chi sarà, scritto da Antonio De Curtis
  • 1937: Uomini a nolo, scritto da Antonio De Curtis e Bel Ami
  • 1937: Novanta fa la paura, scritto da Antonio De Curtis
  • 1938: Se fossi un Don Giovanni, scritto da Antonio De Curtis
  • 1938: L'ultimo Tarzan, scritto da Antonio De Curtis
  • 1938: Accade una notte che..., scritto da Antonio De Curtis
  • 1939: Fra moglie e marito, la suocera e il dito, ultimo avanspettacolo scritto da Antonio De Curtis

Il ciclo della Grande Rivista:

Cinema [modifica]

Collabora a Wikiquote « E io pago! E io pago! »

Totò interpretò dal 1937 fino alla morte (nel 1967) ben 97 film per il grande schermo, quasi sempre come attore protagonista, per una media di oltre 3 all'anno (numero che tra l'altro non può tener conto della pausa della guerra).

Oltre a ciò vanno anche elencati anche un cospicuo numero di progetti iniziati e mai portati a termine.

Totò e Peppino nella scena della "lettera" in Totò, Peppino e la... malafemmina
Totò e Peppino nella scena della "lettera" in Totò, Peppino e la... malafemmina
Totò e Nino Taranto ne I due colonnelli (1962)
Totò e Nino Taranto ne I due colonnelli (1962)

Attore cinematografico [modifica]


Doppiatore cinematografico [modifica]

Totò in Totò d'Arabia (1965)
Totò in Totò d'Arabia (1965)

Sceneggiatore cinematografico [modifica]

Film di montaggio [modifica]

Film non realizzati [modifica]

Totò e Walter Pidgeon ne I due colonnelli (1962)
Totò e Walter Pidgeon ne I due colonnelli (1962)
  • Il ladro disgraziato (1930), di Stefano Pittaluga
  • Darò un milione (1934)
  • Calandrino (1935)
  • Batticuore (1939)
  • Totò il buono (1942)
  • Cornuto e bastonato (1948)
  • Buongiorno elefante (1948)
  • I tre moschettieri (1949)
  • Duello nel sale (1949)
  • Via col mento! (1949)
  • Il prode Anselmo (1949)
  • Marcantonio e Cleopatra (1949)
  • Adamo ed Eva (1949)
  • Atollo K (1950)
  • Le avventure di Pulcinella (1951)
  • La paura numero uno (1952)
  • Gaetana e il cavallo bianco (1952)
  • Bertoldo, Bertolino e Cacasenno (1953)
  • Anni facili (1954)
  • Pinocchio (1956)
  • Totò e Peppino mariti imbroglioni (1957)
  • Totò e i suoi cognati (1958)
  • Ferdinando I, re di Napoli (1959)
  • Totò in orbita (1960)
  • Un mostro e mezzo (1963)
  • La (Ri)cotta (1963)
  • Anni ruggenti (1963)
  • Pinocchio (1964)
  • Fidanzamento all'italiana (1965)
  • Il viaggio di G. Mastorna (1965), di Federico Fellini
  • Il circolo Pickwik (1966), di Ugo Gregoretti
  • Geminus (1966)
  • Arabella (1967)
  • Il padre di famiglia (1967), di Nanni Loy - il 13 aprile si gira la prima scena, ma due giorni dopo Totò muore. Lo sostituisce Ugo Tognazzi.

Televisione [modifica]

Attore televisivo [modifica]

Sul piccolo schermo l'attore realizzò nel 1967 TuttoTotò, una serie di 9 telefilm diretti da Daniele D'Anza, Bruno Corbucci e Sandro Bolchi per l'episodio Totò Ye Ye, così composti:

  • Il latitante, andato in onda il 4 maggio (nel ruolo di don Gennaro La Pezza; l'episodio venne ricavato dalla sceneggiatura per un film mai realizzato, Le belve)
  • Il tuttofare, andato in onda il 10 maggio (nel ruolo di Rosario De Gennaro, detto Lallo)
  • Il grande maestro, andato in onda il 13 maggio (nel ruolo di Mardocheo Stonatelli)
  • Don Giovannino, andato in onda il 18 maggio (nel ruolo omonimo del titolo)
  • La scommessa, andato in onda il 25 maggio (nel ruolo di Oberdan Lo Cascio), in cui Totò figurava anche come sceneggiatore
  • Totò ciak, andato in onda l'8 giugno (nel ruolo dell'agente segreto, era una parodia dei generi cinematografici in voga con la partecipazione di alcuni cantanti)
  • Totò a Napoli, andato in onda il 13 giugno (nel ruolo della guida non autorizzata, recitava alcune poesie sue)
  • Totò Ye Ye, messa in onda annunciata il 29 giugno, ma in realtà mai avvenuta (nel ruolo del capellone in uno special con la partecipazione di cantanti e complessi musicali)
  • Premio Nobel, con Corrado, andato in onda il 6 luglio (nel ruolo di Severino Bolletta)

Sketch pubblicitari [modifica]

Nell'autunno del 1966 Totò girò nove sketch pubblicitari per la RAI, che andarono in onda su Carosello; oggi di questi ne sopravvivono solo due, probabilmente gli altri sono stati distrutti.

  • Totò cassiere
  • Totò calzolaio
  • Totò spazzino
  • Totò petroliere
  • Totò proprietario di ristoranti
  • Totò farmacista
  • Totò barista
  • Totò giocatore
  • Totò elettricista

Nel gennaio 1967 vennero girati altri sette caroselli. Il progetto era di dieci ma Totò non riusci a finirli tutti perché era impegnatissimo; questi sketch non vennero mai messi in onda in quanto furono trafugati prima di essere utilizzati.

  • Totò ingegnere
  • Totò pittore
  • Totò meteoronauta
  • Totò iettatore
  • Totò ferroviere
  • Totò operaio
  • Totò giardiniere

Apparizioni televisive [modifica]

Totò con Roberto Murolo
Totò con Roberto Murolo

Programmi televisivi sull'attore [modifica]

Poesie [modifica]

(tra parentesi il titolo in italiano)

  • 'A livella (La livella)
  • Ricunuscenza (Riconoscenza)
  • 'A mundana (La prostituta)
  • Dick
  • Zuoccole, tamorre e femmene (Zoccoli, tamburi e donne)
  • Si fosse n'auciello (Se fossi un uccello)
  • Ngiulina (Angelina)
  • Balcune e lloggie (Balconi e logge)
  • Ll'ammore (L'amore)
  • Uocchie ca mme parlate (Occhi che mi parlate)
  • 'A statuetta (La statuetta)
  • 'A cunzegna (La consegna)
  • Ammore perduto (Amore perduto)
  • 'A nnammurata mia (La mia fidanzata)
  • Core analfabeta (Cuore analfabeta)
  • 'E ccorna (Le corna)
  • 'O schiattamuorto (Il becchino)
  • Felicità
  • 'A vita (La vita)
  • Il fine dicitore
  • Bianchina
  • 'E pezziente (I pezzenti)
  • 'A speranza (La speranza)
  • Il cimitero della civiltà
  • Sarchiapone e Ludovico
  • L'indesiderabile

Canzoni [modifica]

  • Margherita (1935)
  • Ddoje strade (1944)
  • Dincello, mamma mia (1945)
  • Ischia mia (1946)
  • Margellina blu (1947)
  • Napule, tu e io (1948)
  • La mazurka di Totò (1949)
  • L'ammore avesse 'a essere (1949)
  • Casa mia (1950)
  • Che me diciste a ffà (1951)
  • Malafemmena (1951)
  • Nun si 'na femmena (1951)
  • Carme'... Carme' (1953)
  • Luntano a te (1953)
  • Con te (1954 - presentata al Festival di Sanremo)
  • Tapioca (1954)
  • Core analfabeta (1955)
  • Sulo (1955)
  • Mammarella (1958)
  • Miss... mia cara miss (1958)
  • Aggio perduto ammore (1959)
  • Nemica (1959)
  • Filomè (1960)
  • Scettico napulitano (1961)
  • I voglio bene 'e femmene (1962)
  • Le Lavandou (1962)
  • Uocchie ca me parlate (1963)
  • Baciami (1965)

Note [modifica]

  1. ^ Fino al 31 dicembre 1947, in quanto dal 1° gennaio 1948 i titoli nobiliari in Italia non vennero più riconosciuti.
  2. ^ Il nome di Totò, antoniodecurtis.com.
  3. ^ Biografia di Totò, Teatro.org
  4. ^ a b Infanzia, antoniodecurtis.com.
  5. ^ a b Totò - Dizionario dello Spettacolo, delteatro.it
  6. ^ a b Biografia di Totò, Il principe mascherato
  7. ^ a b Teatro, antoniodecurtis.org.
  8. ^ Liliana Castagnola, antoniodecurtis.com.
  9. ^ Primi film, antoniodecurtis.com.
  10. ^ Le riviste, antoniodecurtis.com.
  11. ^ Racconta Pietro de Vico, a proposito del film Che fine ha fatto Totò Baby?: "una volta...dovendo girare una scena del film, Totò si avvicinò e mi disse: ho letto il copione di questa scena, è una vera schifezza. Fai tutto quello che ti dico di fare e segui le mie battute, improvvisiamo... Così facemmo e ne venne fuori una delle migliori scene del film."
  12. ^ Totò a fumetti, antoniodecurtis.com.
  13. ^ Biografia di Totò, Il principe mascherato
  14. ^ Una delle rare apparizioni televisive di Totò e Franca Faldini si ebbe appunto, nella trasmissione "Controfagotto" del 1961, nell'ambito di una visita a questo canile.
  15. ^ a b [1], Il testo dell'intervista di Lello Bersani
  16. ^ Fonte: Marco Giusti: Totò rubato. Un carosello scomparso, in Il grande libro di Carosello, Frassinelli, 2004.
  17. ^ Quel 15 aprile, antoniodecurtis.com.
  18. ^ [2] Giovanni Grimaldi - Relazione presentata al II° Colloquio Internazionale di Genealogia di San Marino - 31 marzo - 4 aprile 2005.
  19. ^ I de Curtis (e anche Della Corte) furono una antica famiglia longobarda (attestata dal X-XI secolo), originaria della zona fra Salerno e Cava dei Tirreni (infatti in una compravendita in Salerno del 1278 Bartolomeo De Curtis acquistando un terreno, ricordò che il suo capostipite era stato il conte Atenolfo (XI secolo), padre di Ademario, da cui in linea retta erano discesi Mario, Landolfo e Matteo, padre del detto Bartolomeo); un loro ramo ebbe poi la contea di Ferrazzano e da essi discese Totò; la famiglia si ramificò anche a Ravello, dove furono patrizi locali e ascritti nel Libro d'Oro di Ravello. Fra i personaggi celebri di questa famiglia: Giovanni e Bartolomeo (XIII secolo), prestarono denaro a Carlo I d'Angiò; Leonetto (XV secolo), milite e regio consigliere, partecipò alla battaglia di Sarno (1460) e fu capitano di Reggio (1465); Giovan Andrea, Presidente del Sacro Regio Consiglio; Francesco e Scipione, consiglieri di S. Chiara; Camillo vice cancelliere del regno, avvocato del regio patrimonio, presidente della Regia Camera della Sommaria e reggente del Supremo consiglio d'Italia nella corte cattolica (un suo quadro è attualmente ancora al comune di Cava e fu oggetto di una contesa con l'attore Totò, che non riuscì però ad ottenerlo); Tommaso, nativo di Napoli, cavaliere di Malta (1582); Paolo (XVI-XVII secolo), vescovo di Ravello (1591) e poi di Isernia. Secondo alcuni studiosi moderni anche papa Benedetto XII (Jacques Fournier) era di questa famiglia, ma sembra poco probabile.

Bibliografia [modifica]

Raccolte di poesie di Totò [modifica]

Monografie e studi su Totò [modifica]

  • Alberto Anile. I film di Totò (1930 - 1945). L'estro funambolo e l'ameno spettro. Genova, Le Mani, 1995. (vincitore del Premio Filmcritica - Umberto Barbaro per il miglior saggio sul cinema dell'anno) ISBN 8880120514
  • Alberto Anile. I film di Totò (1946 - 1967). La maschera tradita. Genova, Le Mani, 1997. ISBN 8880120808
  • Alberto Anile. Totò proibito. Storia puntigliosa e grottesca sui rapporti tra il principe de Curtis e la censura. Torino, Lindau, 2005. ISBN 9788871805276
  • Liliana De Curtis e Matilde Amorosi. Totò, mio padre. Mondadori, 1990. ISBN 8804336803
  • Liliana De Curtis e Matilde Amorosi. Totò, a prescindere. Mondadori, 1992. ISBN 8804357487
  • Liliana De Curtis e Matilde Amorosi. Totò, ogni limite ha una pazienza. Rizzoli, 1995. ISBN 88-17-84412-8
  • Liliana De Curtis e Matilde Amorosi. Totò, femmine e malafemmine. Rizzoli, 2003. ISBN 9788817108171
  • Roberto Escobar. Totò. Avventure di una marionetta. Il Mulino, 1998. ISBN 8815063021
  • Dario Fo. Totò: Manuale dell'attor comico. Firenze, Vallecchi, 1995. ISBN 88-8252-028-5
  • Enrico Giacovelli. Poi dice che uno si butta a sinistra!. 1a ed. Roma, Gremese Editore (collana "I Flap"), 1994. ISBN 88-7605-838-9.
  • Marco Giusti (a cura di). Antonio de Curtis. Totò si nasce. 1a ed. Milano, Arnoldo Mondadori Editore (collana "Biblioteca Umoristica Mondadori - I Maestri della comicità"), 2000. ISBN 88-04-47918-3.
  • Marco Giusti. Totò rubato. Un carosello scomparso, in Il grande libro di Carosello, Frassinelli, 2004. ISBN 8876847855
  • Camillo Moscati. Totò. Imperatore di Capri. Editore Lo Vecchio, 2005. ISBN 8873330770
  • Totò Malafemmina in: Andrea Jelardi-Giordano Bassetti, Queer TV, Croce, Roma 2006.

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Collegamenti esterni [modifica]


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